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Moped: storia e ragioni del dominio Piaggio

Perché i ciclomotori italiani sono i più amati nel mondo?

Prima che arrivassero maxi-scooter, app e navigatori, c’erano loro: i moped. Due ruote leggere, un motore strombettante e la libertà di andare ovunque con un pieno da poche lire. Ciao, Bravo, Sì, Boxer e Grillo sono nomi che ancora oggi fanno sorridere chi li ha guidati nella Moped Golden Era e pensarci fa brillare gli occhi anche a noi in Malossi. I moped – e in particolare i moped Piaggio – sono un capitolo importante della nostra storia e la palestra che ha permesso a intere generazioni di sperimentare il tuning, di apprendere il piacere di mettere le mani sul motore e spremere fino all’ultimo cavallino.

Chi erano i moped lovers e perché li amavano

Fummo in particolare noi italiani, gli olandesi e i francesi ad apprezzare questi mezzi che si diffusero in tutto il Continente con grande successo. Il termine moped nacque in Svezia a fine anni ’50, come portmanteau delle parole motor e pedal.

Il successo di questi mezzi è presto spiegato: dopo la Seconda Guerra Mondiale tutta Europa aveva pochi soldi e molta fame di ripartire. Serviva un mezzo economico, semplice da usare e alla portata di chiunque. Fu così che nacquero i motorini: leggeri, affidabili e con consumi ridicoli, portarono studenti, operai e casalinghe ovunque servisse andare. Bastava una pedalata per avviare il motore, costavano poco, si riparavano con due attrezzi e una buona dose di ingegno.

E se nell’immediato dopoguerra i moped hanno preso piede per ragioni molto pratiche, con il boom economico sono rimasti diventando i compagni di viaggio dei giovani, sempre pronti a donare loro innumerevoli assaggi di pura libertà.

I bicicli motorizzati, progenitori dei moped

Negli anni ’40, quindi, le tasche erano vuote ma le strade si riempivano di biciclette: era il mezzo di trasporto più diffuso, presente in ogni famiglia. Fu quasi naturale chiedersi: “E se alla bici mettessimo un piccolo motore?”. Nacquero così i motori ausiliari da applicare direttamente al telaio o alla ruota, trasformando la pedalata in spinta meccanica. Bastava un po’ di inventiva – che in quegli anni non mancava – per rendere un due ruote un veicolo capace di percorrere chilometri senza sudare.
È così che nacque il micromotore francese VéloSoleX, con il suo caratteristico motore sopra la ruota anteriore e la trasmissione a rullo: lento, rumoroso e inconfondibile, ma capace di portarti ovunque con un filo di miscela. Il VéloSoleX ancora non lo sapeva, ma qualche anno più tardi, fu grazie a lui e ai suoi simili – come Mosquito Garelli e Ducati Cucciolo – che esplose il fenomeno moped in tutta Europa.

I moped Piaggio conquistano il mondo

A metà degli anni ’60, Piaggio colse al volo il cambiamento: capì che non bastava più un motore appiccicato a una bici, serviva un mezzo pensato fin dall’inizio per essere a motore. Così nacquero i primi moped come li conosciamo oggi, con telaio rinforzato, motore integrato e linee più moderne. Erano ancora leggeri, semplici e parchi nei consumi, ma offrivano più comfort, più affidabilità e soprattutto un’estetica tutta loro, lontana dal look improvvisato dei bicicli motorizzati.
Il Ciao fu solo il primo moped Piaggio: lui e i modelli derivati del brand segnarono l’inizio di una nuova era, fatta di mezzi facili da guidare, con la pedivella per l’avviamento – ma anche per pedalare quando finivi la benzina – e un design più giovane. Questi cinquantini, tra l’altro, potevano essere guidati dai minorenni senza patente, senza targa e senza assicurazione: così il moped diventò status symbol e due ruote inseparabile di intere generazioni, pronto a scorrazzare ovunque e – perché no – anche verso nuove elaborazioni in garage.
Fino agli anni ’70-’80 è stato il loro momento: i moped erano dappertutto. In quegli anni, tuttavia, sono entrate in vigore norme sulla sicurezza e sulle emissioni che hanno un po’ complicato le cose, oltre al fatto che i motorini hanno iniziato a doversi dividere il cuore dei giovani con i primi piccoli scooter.

Ciao, Bravo, Boxer, Sì e Grillo: la famiglia moped Piaggio

Cinque nomi, cinque modi diversi di vivere il moped. Il Ciao fu l’icona pop: semplice, leggero, indistruttibile e subito amato da tutti. Il Bravo alzò l’asticella con sospensioni migliori e una postura di guida più comoda, era perfetto per chi non voleva rinunciare al comfort nemmeno in città. Il Boxer era il fratello più robusto e muscoloso, nato per sopportare strade meno amichevoli. Il portò un design più moderno e linee arrotondate, diventando il preferito di chi voleva stile oltre alla sostanza. Infine il Grillo, piccolo e agile, ideale per i tragitti brevi e per chi cercava un moped super maneggevole. Tutti diversi, ma accomunati dalla stessa anima: quella di due ruote leggere, instancabili e pronte a farti sorridere a ogni accelerata.

1. Piaggio Ciao (1967–2006)

Prodotto per quasi 40 anni, il Ciao è stato il moped più venduto in Italia e il più resistente al passare del tempo. Leggero (circa 40 kg), con telaio rigido e sospensione anteriore a biscottino, è facilmente riconoscibile grazie alla sua linea pulita e al serbatoio integrato nel telaio. Disponibile in versioni con variatore o monomarcia e, dagli anni ’90, anche con miscelatore automatico.
Il Ciao è un pezzo d’Italia, perfetto per i tuning enthusiast da garage.

2. Piaggio Bravo (1973–2001)

Arrivato nel 1973, il Bravo alzò il livello di comfort grazie a sospensioni posteriori e forcella telescopica, e introdusse un serbatoio benzina fissato al telaio monotrave. Disponibile in varianti come monomarcia o variatore (Bravo P, PV, Ecology System) e versioni sportive come Superbravo, con kickstarter, e Superbravo 3M con cambio a tre marce.
Perché si distingue dal Ciao? Guida più morbida e linea più aggressiva.

2519075 – Gear box

3. Piaggio Boxer / Boxer 2 (1970–1983)


Il Boxer fu il moped robusto della storia Piaggio: telaio corto, ruote da 18″ (17″ nella seconda serie), serbatoio sotto la sella. Dotato di sospensione anteriore telescopica (tranne alcuni rari esemplari della prima serie che montavano quella a biscottino del Ciao) metteva a disposizione il variatore opzionale, mentre la seconda serie, Boxer 2, aggiungeva plastiche aggiornate.
Ha affascinato gli appassionati perché, rispetto al Ciao, era più strutturato, adatto a chi cercava robustezza e un design meno tradizionale.

4. Piaggio Sì (1979–2001)

Lanciato nel 1979, il Sì scalzò il Boxer dal catalogo Piaggio elevando il moped con forcella telescopica, monoammortizzatore posteriore, sella più lunga con vano, cerchi a 4 razze da 16”. Caratterizzato da un motore avanzato (testata migliore, variatore opzionale), venne prodotto in tre fasi: prima serie (1979–1987), Electronic o FL con introduzione dell’accensione elettronica (1987–1991), e FL2 (1992–2001). Versioni speciali includevano Montecarlo, Tuttorosso, Ecology System, Mix con miscelatore automatico, e Miami.
Rispetto al Ciao fu considerato un salto avanti perché più raffinato, comodo, struttura complessiva più solida e look più contemporaneo.

5. Piaggio Boss (1988-1989)

Prodotto solo per un breve periodo tra il 1988 e il 1989, il Piaggio Boss è il ribelle della famiglia. Niente pedali: per avviarlo c’era una pedalina retrattile, e il design ricordava più uno scooter compatto che un moped tradizionale. Il telaio a tubo montava il motore del Piaggio Sì, ma con accensione elettronica CDI di serie, comandi moderni al manubrio, cerchi in lega da 16”, pneumatici di maggiore sezione rispetto al Sì e un portacasco integrato. Con il suo look più “maturo” e la meccanica affidabile (la stessa del Sì), il Boss segnò un piccolo passo verso il mondo degli scooter veri e propri, pur restando nella categoria dei moped.

6. Piaggio Grillo (1989–1996)

Piccolo guerriero urbano erede del Boss, il Grillo si differenziava per le ruote piccole (14″), telaio compatto e maneggevolezza estrema. Le varianti includevano diverse combinazioni tra variatore e monomarcia, sella lunga o corta e ruote in lega o a raggi, avviamento a pedali o kick-starter: SM, SL, SK, LM, LV, LK. Dal Ciao ha ereditato la sospensione anteriore a biscottino.
Era ideale in città perché agile, leggero e piccolino, ma non ebbe successo.

Le ragioni del successo dei moped Piaggio

Tra tutti i modelli moped Piaggio, due sono riusciti a scolpire il loro nome nella memoria collettiva: Ciao e Sì. Il primo, icona senza tempo, è stato il compagno di avventure di milioni di italiani, capace di attraversare decenni senza perdere un colpo. Il secondo, più moderno, ha conquistato i giovani degli anni ’80 e ’90 con un mix di stile e praticità.

Ma perché i moped Piaggio hanno avuto tanto successo da surclassare la concorrenza? Per l’eleganza del design, per i colori sgargianti in cui erano proposti, ma soprattutto per una serie di scelte tecniche che hanno rivoluzionato il modo di intendere il ciclomotore. Frizione centrifuga e variatore automatico non sono state invenzioni Piaggio, ma prima del Ciao i propulsori dei ciclomotori erano ingombranti, spesso imbrattati d’olio – anche nella candela –, soggetti a surriscaldamento e bisognosi di regolazioni e lubrificazioni alla trasmissione. Il Ciao con la sua cinghia in gomma, il motore strettissimo completamente carenato e, dunque, isolato dal pilota, fu una graditissima novità che questo modello tramandò ai fratelli minori. Piaggio rese ancor più pratico e accessibile a tutti, donne comprese, questo mezzo: così superò la concorrenza.

Anche noi ci innamorammo dei suoi moped e ben presto, da bravi ribelli, ci impegnammo a scoprire come far superare i 40 Km/h di velocità massima di cui erano capaci. Fu una vera sfida, perché – per citare solo alcuni ostacoli – lo spazio del vano motore dei moped Piaggio era ridotto ai minimi termini, la distribuzione originale a disco rotante era un sistema economico ma ben lontano dal rendimento ideale. La storia racconta che ci siamo riusciti.

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